
ROMA – In Italia sui vaccini si continua a navigare a vista. Dopo il “pasticcio” mediatico sul vaccino anti-Covid Astrazeneca, prima dato alle fasce d’età più basse e non consigliato dai 60 anni in poi. Si continua a mischiare le carte anche su Pfizer, precedentemente dato solo ai più anziani ed ora raccomandato invece agli under 60 ed ai fragili. Dopo la decisione del CTS di allungare a sei settimane il lasso di tempo tra prima e seconda dose, oggi andata in vigore dappertutto, è la stessa casa farmaceutica a “sconfessare” in qualche modo le decisioni del Comitato Tecnico Scientifico. «Il vaccino è stato studiato per una seconda somministrazione a 21 giorni. Dati su di un più lungo range di somministrazione al momento non ne abbiamo se non nelle osservazioni di vita reale, come è stato fatto nel Regno Unito. E’ una valutazione del Cts, osserveremo quello che succede. Come Pfizer dico però di attenersi a quello che è emerso dagli studi scientifici perché questo garantisce i risultati che hanno permesso l’autorizzazione”. Sono le parole nell’intervista rilasciata a Sky TG24 di Valeria Marino, direttore medico di Pfizer Italia, che in pratica bacchetta il CTS che ha deciso l’allungamento da 3 a 6 settimane della finestra per la somministrazione della seconda dose. «Dobbiamo studiare anche la necessità della terza dose – ha aggiunto Marino – abbiamo i dati che dimostrano la copertura immunitaria a sei mesi, dobbiamo osservare i successivi sei mesi. Potrebbe essere possibile una terza dose ma forse anche non necessaria, a meno che non intervengano eventuali varianti, in quel caso una dose ‘buster’ potrebbe essere utile».
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